La prima cosa bella
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Commedia noir dalle sfumature esilaranti, ambientata a Washington.
Sincero, come il volto di Valerio Mastandrea. Genuino, come il sorriso di Micaela Ramazzotti.
Sognante, come lo sguardo di Stefania Sandrelli. E' fatto così l'ultimo film di Paolo Virzì.
E, perché no, anche sorprendente. La prima cosa bella infatti non è come ci si potrebbe aspettare
sull'onda del ricordo delle note della famosa canzone, il racconto di una prima esperienza d'amore e
dell'incontro con l'altro da sé, ma una tormentata, poetica, drammatica, infinita storia
d'amore materno, del sentimento profondissimo che lega la (verrebbe da dire ''troppo'')
giovane mamma Anna ai figli Bruno e Valeria, a dispetto del mondo vuoto d'affetti,
pressoché deserto di sentimenti, che gravita loro intorno.
A dispetto dell'ignoranza, della violenza, della cattiveria gratuita, dell'ipocrisia,
dell'ostentato perbenismo di una Livorno chiusa dei primi anni '70 che sembra una
degenerazione di quella civiltà di ''colpa e vergogna'' della lontana tragedia greca.
Fra le scene d'apertura del film è racchiusa la chiave di lettura dell'intera pellicola: sul
volto di Anna che vince il concorso di bellezza fra mamme, si leggono l'emozione,
l'incredulità, l'attrazione nei confronti di una realtà sconosciuta e allettante
qual è per lei il mondo dello spettacolo, e soprattutto quella magia che è
tutta sua e che rende forte una ragazza fragile, semplice, inesperta del ''mestiere di vivere''
(per dirla con Cesare Pavese), eppure così tenacemente attaccata ai suoi sogni di felicità
e alla sua fiducia nella possibilità di poter cambiare il corso delle cose.
Quella magia che à la capacità di trasformare istantaneamente le lacrime
dovute alla reazione scomposta del marito in un radioso sorriso rivolto ai suoi bambini.
E come si rivela una continua altalenanza di lacrime e sorrisi la storia di Anna,
così è dolceamaro il tono del film che tocca corde profonde dello spettatore,
alternando fra il comico e il drammatico, lo scherzo e la commozione, senza mai indulgere
alla lacrima facile. Mentre impariamo a conoscerla ci accorgiamo che più
grossi sono i guai in cui Anna incappa e più forte lei vuole cantare e sorridere,
non perdendosi d'animo, proprio come la Sophia Loren ne La baia di Napoli o la Gina
Lollobrigida in Pane amore e fantasia. Ma Anna non è smaliziata e ''attrice nata''
come la zia Lucia del film di Shavelson, anzi, lei che dice candidamente
''Mi sa che per il cinema 'un son molto portata'' ricorda di più l'orgogliosa e
indomita ''bersagliera'' di Comencini condividendo di quest'ultima il pregio e la
condanna di una bellezza fuori dal comune. E se Spiderman ci ha insegnato
che ''da grandi poteri derivano grandi responsabilità''.
La prima cosa bella mostra in modo molto efficace a noi abituati a vivere nella
società dell'immagine e dell'edonismo, come l'avvenenza fisica abbia potuto
spesso rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio per le ragazze provenienti
dal mondo degli umili, soprattutto nelle cittadine di provincia di un'Italia
di qualche decennio fa. La storia di Anna - interpretata da una bravissima
Micaela Ramazzotti la cui recitazione non fa avvertire discontinuità
fra l'Anna giovane e l'Anna anziana e da un'insuperabile Stefania Sandrelli,
luminosa come solo lei può essere anche nelle circostanze più
buie - è cinematograficamente raccontata attraverso un uso sapiente del
flashback che fa condividere allo spettatore i frammenti di memorie del figlio
maggiore Bruno. Se per entrambi i figli di Anna, La prima cosa bella è
una storia di formazione sui generis, per Bruno è senz'altro qualcosa di ancora
più forte: per lui (una volta bambino orgoglioso, sensibile, geloso della madre,
ora professore di lettere a Milano, sempre così chiuso e ''musone'' da far tenerezza)
è la storia di un ritorno alle origini, di un nòstos
sulle tracce della turbolenta infanzia vissuta a Livorno.
Ed è la storia di una catarsi che si realizza piena e potente nella scena finale,
in quel Bruno che si butta fra le onde del mare - acqua simbolo di purificazione,
sorgente di vita, alveo materno - con un'energia e un entusiasmo da troppo tempo
smarriti e ora improvvisamente ritrovati, mentre la gioia che si sprigiona nel
suo cuore esce dal grande schermo e invade la sala cinematografica sulle note
di quell'Eternità che grida a volume spiegato una sete di felicità
inesauribile. La prima cosa bella è anche la colonna sonora di uno spaccato
di storia italiana, fatta di canzoni che sono un patrimonio comune e al tempo stesso
un privato bagaglio interiore: nel caso di Anna, Bruno e Valeria, anche il segreto
di una fortissima complicità.
Valerio Mastandrea ha il merito di raccontare questa storia e la vicenda intima di
Bruno attraverso quella recitazione ''in levare'' che gli appartiene dai tempi del
Tarcisio Proietti (personaggio peraltro dotato della medesima nobiltà di spirito di Bruno)
di Palermo Milano solo andata: lo stesso modo un po' stravagante di comunicare con
il mondo, la stessa espressività che si serve di poche parole, quelle essenziali,
lasciando che siano in primo luogo il volto e i gesti a parlare.
Alla fine de La prima cosa bella ci restano indelebilmente impressi nella memoria quegli occhi
grandi, limpidi e sognanti, quel sorriso disteso e luminosissimo, quella voce da ragazzina che
canta - forse un po' incosciente ma mai irresponsabile - ,
di Anna in fuga di notte su di un autobus con i suoi bambini.
Squarci di sogno che dirompono la tela di una quotidianità opaca e piatta quando
non scura e spigolosa. Una scena che è un inno all'incanto della giovinezza,
alla magia della bellezza, alla gioia della spensieratezza (la prima cosa bella /
che ho avuto dalla vita / è il tuo sorriso giovane, sei tu cantava Nicola di Bari).
di Jleana Cervai
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